Il taglio dei tassi in Cina apre nuove opportunità per le azioni con focus sull’economia cinese. Approfondimento sulle prospettive globali
Cina, Cina e ancora Cina. Negli ultimi mesi, nel mondo finanziario non si parla d’altro. Dagli ultimi report periodici di Fida emerge, infatti, con chiarezza la dimensione quantitativa e comparativa di un dei fenomeni finanziari oggi sotto la lente di ingrandimento.
Dalle classifiche per rendimento relative al mese di settembre si evince l’impatto dei nuovi stimoli all’economia cinese: i fondi di investimento con focus su Cina avanzano nel periodo quasi del 22%, seguiti a ruota dalla specializzazione sulle A Shares (+19%) e dalla Grande Cina (+17%).
Per comprendere cosa sia successo con esattezza, trarne degli spunti di riflessione e individuare eventuali opportunità è necessario fare qualche passo indietro.
Negli ultimi anni molti operatori della finanza si sono posti un quesito: la Cina si può ancora considerare un Paese in via di sviluppo? La risposta non è univoca a causa dell’eccezionalità del caso e delle molteplici sfacettature che rendono gli aspetti socio-economici del Paese cangianti, eterogenei e difficili da incasellare. Indubbiamente presenta diversi parametri che solitamente si considerano per definire un Paese come emergente, ma allo stesso tempo sotto altri aspetti acquista le sembianze di un’economia estremamente avanzata, soprattutto con riferimento al Pil ed alla rilevanza nel commercio internazionale.
Lo status quo è il prodotto di decenni di sviluppo esplosivo, che ha coinvolto quasi esclusivamente le grandi città e quelli che sono divenuti tra i principali distretti industriali a livello mondiale, lasciando indietro molte realtà rurali. La crescita è stata esponenziale: il Pil negli ultimi trent’anni è cresciuto al ritmo medio di oltre il 10% annuo, con un evidente rallentamento nell’ultimo decennio, ulteriormente inasprito dalla pandemia.
Aldilà delle specifiche congiunture, è pacifico che un tasso di crescita tanto elevato non sia sostenibile per sempre e che le marcate disparità interne non possano che alimentare disequilibri pericolosi e circoli viziosi.
Le politiche della Banca Popolare Cinese
La Banca Popolare Cinese (PoBC) è la banca centrale della Cina e opera sotto il controllo diretto del governo cinese. Anche se ha un certo grado di autonomia nelle sue operazioni quotidiane, le sue politiche monetarie e finanziarie sono influenzate dalle decisioni e dagli obiettivi del governo.
La PoBC ha il compito di mantenere la stabilità economica, gestire la politica monetaria e regolare il sistema finanziario del Paese, in linea con le direttive del governo centrale.
Queste caratteristiche la distinguono in misura significativa dalla Federal Reserve (Fed) e dalla Banca Centrale Europea (Bce).
Il recente ritocco dei tassi si contestualizza in una più estesa manovra del governo volta a stimolare l’economia che sta affrontando diversi problemi, tra cui un rallentamento della crescita, debolezza nel settore immobiliare e una bassa domanda interna.
La decelarazione è imputabile a diverse cause, prima tra tutte le difficoltà in cui verte il real estate (vedere sotto breve approfondimento sul mercato immobiliare), ma anche alle politiche zero Covid – che sebbene revocate hanno contribuito a modificare le abitudini dei cittadini, che hanno riscoperto il risparmio in luogo dei consumi – e a cause geopolitiche: l’amministrazione Trump ha creato non pochi problemi alle esportazioni cinesi, e il suo probabile ritorno tra poche settimane ha importanti riflessi sugli investimenti esteri nel paese orientale. Infine, anche la Cina è coinvolta nel fenomeno demografico che abbraccia tutti i paesi sviluppati: la denatalità, con tutte le sue sfide sulla tenuta della forza lavoro e della domanda interna.
Negli anni passati, il mercato ha vissuto una rapida crescita, creando un’eccessiva offerta di immobili, soprattutto in alcune città di secondo e terzo livello. Inoltre, diverse grandi aziende immobiliari (come Evergrande) hanno accumulato enormi debiti e sono entrate in difficoltà, dando origine a un’ondata di default e a una crisi di fiducia nel settore.
Il governo cinese ha introdotto regolamentazioni più stringenti per limitare il debito nel settore e garantire una crescita sostenibile; tuttavia queste politiche hanno anche ridotto la liquidità e l’accesso al credito.
La diminuzione della fiducia dei consumatori, insieme all’incertezza economica, ha portato a un crollo delle vendite di immobili, compromettendo ulteriormente la capacità degli operatori di far fronte ai debiti.
Il taglio dei tassi e l’effetto sui mercati internazionali
Il recente ritocco è stato accolto con entusiasmo dai mercati internazionali, ma, come si può evincere dal grafico, è sostanzialmente in linea con l’andamento storico del costo del denaro.
Tanto clamore è dovuto a un insieme di manovre di accompagnamento: la riduzione dei requisiti di riserva per le banche, gli investimenti in infrastrutture, i finanziamenti per i costruttori in difficoltà e incentivi per l’acquisto di abitazioni, i sussidi per l’acquisto di beni durevoli e incentivi fiscali, una deregulation per favorire gli investimenti nel settore tecnologico e per attrarre capitali esteri, alcuni sgravi fiscali alle imprese…
Guardando il globo da lontano, quello che vediamo è una Cina che sta premendo sull’acceleratore, gli Usa agli sgoccioli di una campagna elettorale in cui è scesa in campo anche la Fed a fornire le migliori condizioni possibili per l’amministrazione uscente, una Bce che si appresta a un ritorno a politiche più espansive, un’inflazione globale che si sta stabilizzando su libelli sostenibili e che trova ragioni in un’economia reale in espansione, abbondanza di petrolio e fonti energetiche sempre più diversificate, una volatilità sotto controllo.
Quello di questi giorni è uno dei migliori scenari possibili, le Borse continuano a registrare massimi storici e anche l’oro prosegue il suo rally, supportato dalla domanda russa e cinese, ma anche dalla ricerca di un salvagente in caso (probabile) di esplosione della volatilità. In quest’ottica azioni, Bot e Btp sono da preferire ai bond lunghi, in attesa dell’esito delle presidenziali e della reazione dei mercati, che potrebbe riservare sorprese, come nel 2016.