Il rating nel risparmio gestito

Il concetto di rating, negli ultimi anni, è divenuto di fondamentale importanza, non solo per le notevoli implicazioni macroeconomiche che la sua assegnazione comporta, ma anche a livello dei singoli investitori che, nell’incertezza generale in cui si trovano i mercati, lo utilizzano per guidare le proprie scelte di investimento.

È innanzitutto necessario effettuare una prima grande distinzione riguardo a questo termine. Nella sua accezione più comune, infatti, il rating è inteso come una valutazione sulla capacità di un ente emittente di strumenti obbligazionari di far fronte all’impegno preso nei confronti dei creditori. Viene solitamente attribuito sia a società o Paesi, che ai singoli strumenti, dalle principali agenzie di rating internazionali quali S&P, Moody’s o Fitch al fine di informare il sottoscrittore di tali prodotti sulla probabilità di rimborso del capitale, anche al fine di valutare il prezzo al quale effettuare l’acquisto per garantirsi un rendimento adeguato al rischio.

Parallelamente, si è sviluppato un sistema di rating anche per altri strumenti finanziari, come ad esempio i fondi comuni di investimento. Per tali prodotti, che investono in una pluralità di strumenti non è di fondamentale rilevanza per l’investitore un giudizio sulla capacità di rimborso, che si da per scontata, bensì sono cruciali altre informazioni, quali la performance ottenuta in rapporto al rischio sopportato, oppure la capacità di sovraperformare l’andamento del mercato di riferimento. Generalmente, i rating sui prodotti di risparmio gestito come i fondi, non rappresentano delle misure assolute, come nel caso di una valutazione di solvibilità, ma piuttosto delle misure relative che, dopo un’accurata suddivisione in classi che raggruppano prodotti tra loro omogenei, ne permettono il confronto.

È determinante, pertanto, la creazione di categorie omogenee per permettere un confronto significativo. Tale classificazione non può prescindere dall’osservazione di grandezze qualitative, che comprendono, innanzitutto, l’asset allocation del fondo, l’appartenenza ad un dato settore economico e ad una determinata area geografica e gli obiettivi di investimento aspetti che hanno un impatto rilevante sulle performance.

L’efficacia delle politiche di gestione dei fondi, è così valutata per ogni categoria principalmente attraverso l’utilizzo di “riskadjusted performaces”, ovvero misure di rendimento corrette per il rischio, come il noto indice di Sharpe, che confronta l’excess return ottenuto dallo strumento considerato con la sua volatilità. Il calcolo di tali indicatori consente l’ordinamento dei fondiall’interno dellecategorie e l’individuazione di intervalli ai qualiviene assegnato un simbolo, alfanumerico o grafico come ad esempio le corone FIDArating, ad elevata efficacia comunicativa.

Ovviamente, il rating, che si basa su dati storici, non fornisce indicazioni certe riguardo alle performances future, ma sicuramente è indicativo delle capacità che il gestore ha dimostrato o, perlomeno, dell’efficacia della sua politica di gestione.

Sara Barbero

Centro Studi FIDA